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Internet of Things. Sensori e satelliti per il controllo di grandi strutture
Alessandro Polli – Agosto 21, 2018
Non è la sola tipologia di strutture che necessitano di interventi per la messa in sicurezza. Il 14 agosto, subito dopo la catastrofe del viadotto Polcevera, il direttore dell’Istituto di tecnologia delle costruzioni del CNR Antonio Occhiuzzi ha chiarito in una nota stampa che «Il crollo improvviso fa dedurre che i sistemi di monitoraggio e sorveglianza adottati non sono ancora sufficientemente evoluti per scongiurare tragedie come quella di stamattina» e che «la sequenza di crolli di infrastrutture stradali italiane sta assumendo, da alcuni anni, un carattere di preoccupante ‘regolarità’».
Ricordiamone alcuni. A luglio 2014 crollo di una campata del viadotto Petrulla, sulla strada statale 626 tra Ravanusa e Licata (Agrigento); nell’ottobre 2016 crollo di un cavalcavia ad Annone (Lecco); a marzo dello scorso anno crollo di un sovrappasso dell’autostrada adriatica e, in aprile, crollo di una campata della tangenziale di Fossano (Cuneo).
«Per evitare tragedie come quella accaduta», conclude Occhiuzzi, «sarebbe indispensabile la sostituzione di gran parte dei ponti italiani con nuove opere caratterizzate da una vita utile di 100 anni», con un costo stimato di decine di miliardi di euro.
Naturalmente, accanto ad un piano straordinario per la costruzione di opere pubbliche, ormai indifferibile, è di fondamentale importanza dotare le infrastrutture esistenti di sistemi di sorveglianza e monitoraggio.
La tecnologia fornisce già oggi strumenti all’avanguardia. In un precedente articolo abbiamo accennato a SHBox, un avanzato sistema di gestione di sensori per il monitoraggio dei parametri fisici (deformazione, temperatura, inclinazione, evento sismico) di infrastrutture stradali che, ovviamente, può essere utilizzato anche per il monitoraggio di altre tipologie di strutture, come gli edifici.
Il sistema gestisce fino a 64 mila sensori che, opportunamente collocati, consentono di ricostruire il digital twin – cioè il gemello digitale – dell’ambiente sottoposto a controllo, sia esso un ponte, una galleria o un edificio. Ciascun sensore misura deformazione e inclinazione della struttura e rileva, attraverso piccoli sismografi integrati, le sue oscillazioni.
Ovviamente, il valore informativo dei singoli sensori è relativo (come i pixel di un’immagine), quindi a parità di superficie una maggiore densità di sensori incrementa la risoluzione del sistema. Inoltre, per lo stesso motivo, la perdita du singoli sensori non pregiudica il digital twin, ma solo la sua risoluzione.
L’alternativa all’approccio basato su array di microsensori è il monitoraggio a distanza tramite radar ad apertura sintetica, o semplicemente SAR (Synthetic Aperture Radar), che consente di raccogliere a costi contenuti grandi quantità di informazioni con precisione millimetrica su fenomeni lenti – quali i movimenti del terreno di fondazione − che possono mettere a repentaglio le strutture.
I sistemi SAR, introdotti nell’ultimo trentennio, sono generalmente ospitati su satelliti, quali lo European Remote Sensing (ERS), messo in orbita nel 1992. Il sistema rileva gli spostamenti di un insieme di punti target ad ogni passaggio del satellite, quindi solitamente con cadenza settimanale. A differenza dell’approccio IoT basato su microsensori, è quindi una tecnica non idonea per misurare fenomeni di deformazione localizzata dovuti a degrado dei materiali o con tempi di evoluzione rapidi. Può però dimostrarsi utile se affiancata ad un sistema IoT.
Fonte: Ingegneri.info