Kevin Maney (Newsweek): «Apple sembra essere in un angolo». Il sistema operativo iOS è in dotazione su appena il 20% degli smartphone. Ma non solo.
Gli algoritmi di machine learning (ne parliamo qui) migliorano costantemente le loro prestazioni solo se sono costantemente alimentati da nuovi dati. Quindi i dati sono uno dei principali fattori di vantaggio competitivo nell’IT, in quanto consentono di potenziare costantemente le capacità degli algoritmi di IA, attrarre un crescente numero di utilizzatori e, per questa via, raccogliere sempre più dati. «Questa spirale», nota Kevin Maney in un articolo recentemente pubblicato su Newsweek, «è il motivo per il quale ci siamo ritrovati con un pugno di giganti della tecnologia che hanno una capitalizzazione azionaria maggiore dell’intero prodotto interno lordo del Regno Unito».
Le big five dell’IT – in ordine di capitalizzazione Apple, Alphabet (la holding a cui da agosto 2015 fanno capo Google e altre società controllate), Microsoft, Amazon e Facebook – sono da tempo impegnate in una durissima competizione per la raccolta di big data. Alphabet offre un’articolata rete di servizi in grado di raccogliere dati, dal motore di ricerca Google a Chrome, Gmail e YouTube, tanto per citare i più diffusi. Facebook analizza le interazioni sociali e il sentiment di 2 miliardi di utenti non solo del social network, ma anche di WhatsApp e Instagram, apprestandosi a diventare il più diffuso servizio di news al mondo. Da parte sua Amazon raccoglie la maggior parte delle informazioni riguardanti comportamenti d’acquisto; inoltre, tramite Amazon Web Service, analizza il modo in cui i dati sono utilizzati da migliaia di imprese. Infine Microsoft infine raccoglie dati attraverso i suoi popolari software di office automation e il cloud computing.
In questa durissima lotta per i big data, «Apple sembra essere in un angolo», nota Maney, con il sistema operativo iOS che «copre appena il 20% degli smartphone, cosa che significa che Google riesce a estrarre dati dal rimanente 80% degli utenti di smartphone». Del resto Apple non ha un motore di ricerca, non ha un social network, non ha attività di vendita al dettaglio online, non ha un avanzato servizio cloud.
«In ogni campo in cui si raccolgono dati», conclude Maney, «Apple sembra essere stata battuta. Nell’era del machine learning, i dati aumentano incessantemente il gap tra i vincitori e i perdenti, e per questo motivo è difficile immaginare in che modo Apple potrà raggiungere Alphabet, Amazon, Microsoft e Facebook».
Fonte: Newsweek
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Se si osserva l’andamento delle capitalizzazioni di Borsa degli ultimi 30 anni risulta ormai evidente che le grandi corporation, figlie dell’era industriale, sono state superate dalle cosiddette platform firm, puro prodotto dell’era digitale. Le prime, infatti, sono caratterizzate da pesanti asset fisici e vantaggi competitivi spesso di natura regolamentare, mentre le seconde sono orientate all’intermediazione di servizi terzi e alla cooperazione con tutti gli altri attori della filiera.
La grande differenza risiede nell’articolazione dei loro modelli di business. Le corporation tradizionali determinano il proprio vantaggio competitivo sulla dimensione, correlata agli asset o al numero di dipendenti, mentre le platform firm traggono il proprio vantaggio competitivo dalla capacità di porsi quali intermediari di un gran numero di interazioni e dal ripensamento della customer experience, pur non superando le poche migliaia di dipendenti.
Gli operatori bancari, cresciuti durante l’epoca industriale, hanno sposato modelli di crescita tipici delle corporation tradizionali, basando il proprio successo sul numero di dipendenti, sugli asset gestiti e sul controllo esclusivo di tutta la catena del valore. Le uniche logiche di open market sono spesso state sollecitate dalla regolamentazione.
In un contesto in rapida trasformazione, tuttavia, il sistema bancario italiano non è riuscito a modificare la propria identità. Le banche italiane, forse più di molti operatori europei, si sono trovate ad affrontare problematiche di sostenibilità industriale, intensificate anche da evoluzioni normative altamente impattanti. Se si escludono pochi operatori, i budget delle banche sono stati interamente assorbiti dalla gestione delle importanti evoluzioni normative (IFRS9, SREP, nuove regole di classificazione del credito, riforma delle popolari e del credito cooperativo, ecc.) e dagli interventi per fronteggiare le conseguenze della crisi finanziaria (come ad esempio le cessioni di NPL, le integrazioni tra operatori, i salvataggi di banche in difficoltà).
Tale inerzia, se valutata nella fase di fermento che interessa il settore, impone alle banche un’accelerazione nel ripensamento del proprio modello di business per abilitare una capacità sostenibile di competere nel lungo periodo. Ed è nella trasformazione che questo settore deve ricercare la propria ricetta di sopravvivenza. Il cambiamento in questo scenario non è rappresentato solo dalla revisione dei modelli distributivi, con l’introduzione di nuovi canali e touch point, e dall’efficientamento dei processi di back office: si tratta di una trasformazione nella cultura e nei comportamenti.
La rete ha aperto nuove opportunità di business e l’open source ha ridotto significativamente il costo di startup di nuove iniziative che, dopo una prima fase di orientamento alla specializzazione ed alla verticalizzazione su singoli prodotti/servizi, evolvono sempre più prepotentemente in modelli di cooperazione. La qualificazione di tali operatori come potenziali gestori end-to-end della relazione con il cliente nell’ambito dei servizi finanziari è sempre più forte e si va configurando per le banche una nuova arena competitiva.
In questa prospettiva si fanno spazio le fintech, operatori che nativamente fanno convergere competenze finanziarie e competenze tecnologiche, che, superata la fase iniziale di sperimentazione, stanno muovendosi sempre più verso obiettivi di business tangibili, proponendo un ripensamento dell’esperienza del cliente nella fruizione dei prodotti/ servizi finanziari.
Sebbene in Italia i numeri delle fintech non siano ancora rilevanti, alcuni operatori (ad esempio Moneyfarm) hanno già dimostrato che con modelli realmente pensati per il cliente è possibile ritagliarsi, senza particolari difficoltà, un posto da protagonisti nell’arena competitiva bancaria.
Molti grandi player fintech internazionali (a titolo esemplificativo Number26, operatore fintech tedesco dotato di una licenza bancaria in Germania che entro specifici limiti gli consente di operare, proponendo i propri prodotti e servizi in tutti i paesi vigilati dalla BCE senza la necessità di branch o subsidiary locali) vedono nell’Italia un ecosistema ricco di opportunità di sviluppo e proprio per tale motivo iniziano a commercializzare i propri prodotti e servizi anche nel nostro Paese, valorizzando i benefici di modelli operativi scale-up nativamente digitali e sfruttando il fatto di poter operare in un regime regolamentare del solo paese di erogazione dei servizi (elemento rilevante di vantaggio economico).
Tali operatori vedono nell’Italia un ecosistema ricco di opportunità poiché da un lato gli operatori tradizionali sono concentrati, e probabilmente lo saranno anche negli anni a venire, su tematiche prioritarie prevalentemente di natura regolamentare e dall’altro perché la popolazione italiana è quella che si dichiara più propensa a valutare alternative ai servizi finanziari al di fuori dei tradizionali operatori bancari. Il settore fintech guadagna la fiducia dei clienti che vedono nei nuovi attori una valida e preferibile alternativa ai servizi offerti dalle banche.
Tuttavia, i modelli di virtual assistant (basati su intelligenza artificiale e linguaggio naturale), abilitando la digital inclusion, ben si adattano a soddisfare esigenze e approcci culturali di generazioni che, seppur ancora profondamente legate alla fisicità dei touch point e costrette a scontare una scarsa alfabetizzazione sui servizi digitali ‘classici’, risultano grandi utilizzatori di nuove piattaforme come i social network e le chat. L’esempio dell’Enlightened Virtual Assistant potrebbe quindi diventare realtà.
Se negli ultimi anni uno dei grandi timori per l’industry finanziaria sono stati i servizi verticali delle fintech, come il robo-advisor o i payment P2P, è oramai chiaro che la vera minaccia per l’intera industria della consulenza finanziaria è l’intelligenza artificiale (AI). Se nella percezione comune questa tecnologia sembra ancora essere fantascienza, per gli addetti ai lavori è più vicina di quanto si pensi. Si tratta di un’innovazione in rapida evoluzione che avrà conseguenze profonde ed inimmaginabili anche per il settore dei servizi finanziari (per il World Economic Forum, in combinazione con la robotica, impatterà circa 5 milioni di posti di lavoro nel corso dei prossimi 5 anni e 120 milioni di lavoratori della conoscenza entro il 2025). L’aspetto più interessante è che, tramite l’intelligenza artificiale, strumenti e touch point fino a ieri utilizzati per conversazioni personali, informali, private, potranno essere impiegati per fare pubblicità, fornire servizi e gestire l’acquisto di prodotti, per parlare direttamente con la propria banca o con la compagnia aerea quando un volo è in ritardo. In molti definiscono questo trend, detto conversational commerce, una moda che potrebbe sostituire il fenomeno della ‘brandizzazione’ delle piattaforme social, avvenuta grazie ad account aziendali ed interazioni con i consumatori tramite tweet e più asettiche pagine Facebook.
I semplici servizi di messaggistica come Telegram, Snapchat, Facebook Messenger e WhatsApp si trasformeranno, quindi, da servizi puramente personali a nuovi strumenti di commercio online che, nel breve periodo, soppianteranno il ruolo che in tale ambito hanno assunto negli anni i grandi social media (Facebook in primis). Insomma, il conversational commerce si profila come una rivoluzione, che però spaventa per la portata pervasiva degli strumenti coinvolti ed anche perché il sistema bancario, storicamente profondo conoscitore del cliente, ha perso questo primato ed oggi ha una conoscenza dei propri clienti largamente inferiore a quella dei grandi player tecnologici o anche di molti operatori dell’e-commerce o della GDO.
Tale prospettiva è favorita dal fatto che la trasformazione dei business model è per la prima volta accelerata (e non limitata) dalle evoluzioni normative, in particolare dalla PSD2 che rappresenta una grande sfida. La normativa PSD2 non è solo la risposta UE all’oggettiva necessità di mettere ordine in una situazione di deregulation, ma potrà rappresentare un’occasione di crescita di business per molti attori.
Sicuramente le nuove regole di standardizzazione e protezione delle modalità di esecuzione dei pagamenti digitali comporteranno una maggior sicurezza delle transazioni, rafforzando le tutele nei confronti dei consumatori e favorendo lo sviluppo dei pagamenti elettronici (anche grazie alla riduzione delle tariffe). Ma l’impatto più rilevante della PSD2 sarà la generazione di nuove linee di attività, di nuovi modelli operativi e di nuove offerte per i clienti. Questo non comporterà un cambiamento radicale dello scenario solo per le banche, ma anche per le fintech ed in particolare per coloro che decideranno di trasformarsi in Third Party Provider ai quali la nuova normativa consentirà, in diverse forme e secondo diverse metodologie, di accedere ai conti del cliente gestiti presso le diverse banche, sia in modalità informativa, sia in modalità dispositiva, abilitando quindi a terze parti il modello tipico del Corporate Banking Interbancario (CBI) per il segmento imprese, con la fondamentale differenza che tale servizio potrà essere erogato anche da operatori non bancari, che lo valorizzeranno per erogare esperienze uniche ai propri clienti.
Grazie alla PSD2 gli utenti che utilizzano un conto corrente online potranno effettuare pagamenti ed accedere alla rendicontazione bancaria attraverso software realizzati da terze parti autorizzate (Account Information Service Provider, AISP, e Payment Initiation Service Provider, PISP) che dovranno essere abilitate all’accesso ai conti correnti attraverso interfacce facilmente integrabili. Questi operatori autorizzati non dovranno più attestarsi come istituzioni bancarie, ma potranno appartenere a qualsiasi settore, dalle telco ai grandi player della digital economy.
E mentre le banche affrontano questa evoluzione mediante importanti progetti di evoluzione dei propri sistemi e di sviluppo delle API (Application Programming Interface) per gestire una connettività sicura tra i conti dei clienti ed i fornitori di servizi di pagamento, l’ecosistema delle fintech sta studiando e realizzando soluzioni con l’obiettivo di porsi quale single interaction provider per i servizi finanziari. In qualità di single interaction provider saranno in grado di collezionare e integrare anche servizi di altre fintech per costruire modelli cooperativi in grado di gestire un’esperienza del cliente a 360°, in cui non è scontata, nel lungo periodo, la presenza degli operatori tradizionali. In questo scenario si iniziano ad intravedere meccanismi dove alcuni operatori tendono a porsi quali marketplace delle fintech specialistiche per abilitare altre fintech (o anche operatori tradizionali) a fruire di servizi specialistici con un meccanismo tipico dell’ecosistema digitale (le platform firm, caratterizzate da open innovation ed API integration).
Combinando quindi le evoluzioni dell’intelligenza artificiale, che consente di umanizzare le conversazioni con i clienti e di valorizzarne la conoscenza, e la PSD2 si apre la possibilità per i nuovi operatori di disintermediare il ruolo classico della banca e per le fintech di trasformarsi rapidamente da specialisti di prodotto/servizio (monobusiness) ad operatori multi-business. È chiaro che per gli operatori finanziari tradizionali, già sotto pressione per la gestione degli NPL, la compliance, gli aumenti di capitale, ecc., sia in arrivo un vero tsunami la cui risacca, nei prossimi 10-15 anni, determinerà la nuova arena competitiva del sistema finanziario italiano.
Le banche tradizionali potranno competere con i nuovi player ripensando e migliorando il modello relazionale con i propri clienti, a prescindere dai canali/touch point su cui esso si realizza. Una relazione è un insieme di momenti, istantanee della nostra vita, dove le esperienze positive sviluppano le migliori relazioni. Gli operatori bancari dovranno cambiare il loro punto di vista dallo share of wallet allo share of moment, dovranno ragionare sulla capacità di catturare i momenti più importanti per i propri clienti in ogni fase del ciclo di vita. Momenti di contatto che assumono una veste emozionale e che gli operatori dovranno riuscire ad intercettare per generare un vantaggio competitivo sostenibile. Maggiore sarà la capacità di generare una forte esperienza emozionale, migliore sarà l’intensità della relazione che potrà essere generata e gestita con i propri clienti. Il focus sullo share of moment è l’unica vera leva per generare un ecosistema sostenibile nel lungo periodo. Un ecosistema aperto, composto di alleanze, partnership e incentrato sulle capability necessarie a personalizzare l’esperienza dei clienti. I clienti potranno in tal modo percepire nuovamente le banche come soggetti in cui riporre la propria fiducia. Le persone dimenticano quello che è stato detto o quello che è stato fatto in passato, ma non dimenticano mai le emozioni e lo stato d’animo con cui hanno vissuto tali esperienze.
Logiche di utilizzo dell’intelligenza artificiale conversazionale nel settore dei servizi finanziari
I possibili ambiti di applicazione dell’intelligenza artificiale nel settore dei servizi finanziari sono:
1. Conversazioni con i clienti La tecnologia chatbot, che elabora informazioni con il linguaggio naturale e vocale, potrebbe essere utilizzata per migliorare le interazioni sociali. Ci sono già diverse esperienze nelle banche americane di sperimentazione degli assistenti virtuali, come Bank of America, Capital One Financial, Barclays e BBVA.
2. Consigli di investimento automatizzati L’intelligenza artificiale è utilizzata per aiutare i consulenti di investimento e robo-advisor a formulare le raccomandazioni migliori per i clienti. Il gruppo australiano ANZ (Australia and New Zealand Banking Group) ha utilizzato Watson di IBM nella sua divisione di gestione patrimoniale per ben tre anni. Watson è in grado di leggere e capire i dati non strutturati presenti nei contratti e altri documenti, analizzare milioni di dati in pochi secondi e trarre conclusioni da essi. È in grado di valutare la situazione finanziaria di un nuovo cliente in modo più rapido e completo di un essere umano, e non dimentica mai nulla. Anche BlackRock utilizza l’intelligenza artificiale per migliorare le decisioni d’investimento. La startup Kensho, per esempio, combina grandi dati e tecniche di apprendimento automatico per analizzare come gli eventi del mondo reale influenzano i mercati.
3. Analisi del credito più veloci. BBVA utilizza l’intelligenza artificiale per migliorare il punteggio di rischio delle piccole e medie imprese. Si possono così aggiornare i dati in tempo reale ed integrarli con quello che i risk analyst fanno per avere una comprensione più profonda del proprio portafoglio. Alcuni istituti di credito online utilizzano l’intelligenza artificiale per accelerare il loro processo. Il software può visionare centinaia o migliaia di informazioni, come ad esempio i dati finanziari personali e quelli relativi alle transazioni, per determinare il merito di credito in una frazione di secondo.
4. Semplificazione delle operazioni. BNY Mellon, Deutsche Bank e altri player internazionali stanno utilizzando l’intelligenza artificiale nei loro back office per automatizzare le operazioni ripetitive come le ricerche di dati.
5. Apertura del conto assistita. L’apertura di un conto può essere un processo lento e che richiede tempo. Alcune banche stanno sperimentando dei robot per automatizzare alcuni passaggi, come ad esempio la verifica dei dati.
6. Intercettazione di una frode. Gli emittenti di carte e di servizi di pagamento, come PayPal, utilizzano l’intelligenza artificiale per confrontare le transazioni da autorizzare con quelle statisticamente a maggior correlazione con comportamenti fraudolenti.
Principali evoluzioni della normativa PSD2
La normativa PSD2 stabilisce nuove regole per gli istituti di pagamento. Tra le principali novità, l’introduzione di Third Party Payment Services Provider (TPP), soggetti vigilati che possono operare, previa autorizzazione, in qualità di fornitori di servizi di pagamento. La normativa prevede che i TPP siano iscritti al Registro Elettronico Centrale, gestito dall’Autorità Bancaria Europea, ma non assoggetta questi operatori alle regole di vigilanza previste per gli istituti finanziari o per gli istituti di pagamento.
Sul fronte tecnico, questa novità facilita l’accesso ai conti da parte di provider esterni, per la raccolta di informazioni o per l’elaborazione di un pagamento. Questo si tradurrà nel potenziale ribaltamento di uno dei paradigmi più consolidati del sistema bancario europeo: le informazioni legate all’operatività transazionale, così come il saldo del conto, saranno accessibili da parte di operatori esterni autorizzati ad operare secondo regole simili a quelle degli istituti di pagamento.
Le innovazioni introdotte dalla PSD2 potrebbero comportare il superamento dell’interfaccia di pagamento gestita dalla banca o dal provider di carte di pagamento, con il risultato che la gestione end-to-end delle interfacce utente potrebbe essere effettuata direttamente dai retailer, dagli operatori telefonici, dai digital provider, ecc., abilitando un’evoluzione dell’esperienza d’acquisto fino ad oggi difficilmente immaginabile.
D’altro canto la PSD2 rafforza le regole di trasparenza in termini di sicurezza, protezione dei dati ed autenticazione degli stessi TPP (accertamento dell’identità attraverso due o più strumenti di autenticazione, rafforzato dall’utilizzo di link dinamici che certifichino l’unicità della transazione, ecc.).
Ulteriori novità sono introdotte riguardo all’ambito oggettivo di applicazione della normativa stessa, proponendo evoluzioni sia in termini di definizione di nuovi servizi sia di nuove deroghe. Per quanto concerne l’ambito di applicazione, le principali modifiche riguardano:
- Regole di trasparenza e corretta informativa applicate anche alle transazioni in valuta diversa da quella di uno Stato membro ed alle operazioni di pagamento in qualsiasi valuta
- Nuovi servizi di accesso ai conti: payment initiation (avvio di una operazione di pagamento), account information (consultazione delle informazioni aggregate dei conti detenuti), funds checking (controllo fondi).
Invece, per quanto riguarda le deroghe, la PSD2 prevede una revisione del perimetro delle esenzioni rispetto a quanto previsto nella precedente normativa, per le seguenti fattispecie: agenti commerciali, strumenti e reti a spendibilità limitata, impiego del credito telefonico e ATM indipendenti.
Infine, un’ulteriore novità di rilievo che emerge dalla PSD2 riguarda il rafforzamento delle tutele per gli utilizzatori di uno strumento di pagamento (consumatori ed esercenti). Viene infatti ribadita la necessità di investire su sicurezza, protezione dei dati e autenticazione, tramite la definizione di nuove responsabilità per chi utilizza uno strumento di pagamento e di nuove regole commerciali relative all’applicazione da parte dell’esercente di maggiorazioni a carico del pagatore.
Nello specifico, ai consumatori, in caso di pagamenti non autorizzati, potrà essere chiesto di sostenere perdite più limitate, fino ad un massimo di 50 Euro contro i 150 previsti dalla normativa precedente. Dal punto di vista dell’esercente, l’applicazione di maggiorazioni a carico del pagatore in caso di pagamenti con carte sarà limitata alle commissioni previste dal regolamento.
Il conversational commerce è un concetto introdotto da Chris Messina in un articolo pubblicato nel 2015 su Medium, relativo all’intersezione tra app di messaggistica e attività di acquisto. In altre parole, la tendenza emergente del marketing, svolto attraverso programmi di messaggistica e chat come Facebook Messenger, WhatsApp, Talk e WeChat.
I consumatori possono dialogare con rappresentanti delle società, ottenere assistenza, fare domande, ricevere suggerimenti personalizzati, leggere recensioni e cliccare per perfezionare un acquisto, tutto all’interno della app di messaggistica. Nel conversational commerce il consumatore dialoga con un venditore fisico, una chatbot o una combinazione dei due.
Conversational commerce is a term coined by Uber’s Chris Messina in a 2015 piece published on Medium. It refers to the intersection of messaging apps and shopping. Meaning, the trend toward interacting with businesses through messaging and chat apps like Facebook Messenger, WhatsApp, Talk, and WeChat. Or through voice technology, like Amazon’s Echo product, which interfaces with companies through voice commands.
Consumers can chat with company representatives, get customer support, ask questions, get personalized recommendations, read reviews, and click to purchase all from within messaging apps. With conversational commerce, the consumer engages in this interaction with a human representative, chatbot, or a mix of both.
On the business side, companies can use chatbots to automate customer service messages. It’s how companies are enabling consumers to buy from them without ever leaving the messaging app they are using. Now companies can send order confirmations in Facebook Messenger, as well as shipping and delivery notifications. Using chatbots, businesses can resolve customer service issues, provide recommendations, create wishlists, and interact with buyers in real-time.